domenica 10 settembre 2017

Marcello Gnani intervistato su “Ciò che deve essere fatto” da… Marcello Gnani!

OK, sì, ha probabilmente poco senso che io mi intervisti da solo… ma dopo tutto lo si può anche vedere come un mio modo di essere coerente fino in fondo: già ho fatto ricorso all’autopubblicazione. Di conseguenza, per cercare di annunciare il mio nuovo romanzo in autonomia, mi sono dovuto dare all’autopromozione… Sarà poi così scandaloso, a questo punto, procedere con un’autointervista?
Ed ecco quindi Marcello Gnani Intervistatore che, per conto della prestigiosa rivista “So darn fantasy magazine” si accinge a intervistare Marcello Gnani Autore


Gentile Marcello, è un vero piacere per me intervistarla. Conosco tutti i suoi romanzi fantasy e li ritengo di notevole livello.

Lei è davvero molto gentile; in fatto di fantasy, deve avere gusti molto simili ai miei… Mi piacerebbe che tali gusti fossero condivisi da una più vasta gamma di lettori.

Suvvia, che lei sia ancora poco noto è un dato di fatto, ma non può ignorare che c’è già qualcuno che ha definito Remniskar Thloth, l’ambientazione da lei creata e in cui ha ambientato tutti i suoi romanzi, come “superba”. E comunque, vedrà, la sua scelta di rilasciare questa intervista alla mia rivista “So darn fantasy magazine” risulterà certo determinante…

Sì, questo lo auspico anch’io... Anche se confesso che, non avendo mai sentito nominare la sua rivista, mi ero preso la briga di cercarla in edicola, ma purtroppo senza riuscire a trovarne una sola copia… Anzi, molti edicolanti mi guardavano con una faccia… Come se non ne avessero mai sentito parlare.

Ah, capisco, anche lei ha commesso questa ingenuità. Eppure il titolo dovrebbe parlare chiaro: “So darn fantasy magazine”… La nostra rivista è così dannatamente fantasy, che non esiste nel mondo reale - del resto, se no, che fantasy sarebbe? Abbiamo una fortissima tiratura nella Terra di Mezzo, per non parlare poi delle copie che vendiamo nei Forgotten Realms o in Eberron… là, soprattutto tra le gilde dei ladri, vanno (letteralmente) a ruba. Ma non troverà un solo numero della nostra rivista qui, nel nostro mondo.

Uh ehm… Chiaro… Quindi sto per diventare una celebrità per un sacco di lettori immaginari… Mi permetterà, però, giusto per non trascurare troppo i lettori reali, quelli “del nostro mondo” come li chiama lei, di pubblicare in internet l’intervista?

Certo, si figuri! Ma ora entriamo nel vivo: il suo ultimo romanzo si intitola “Ciò che deve essere fatto”. Come mai questo titolo?

Questo titolo mi pare ben (rap)presentare il romanzo sotto molteplici aspetti. Anzitutto, si tratta della parte conclusiva di un antico adagio nanico: “Ci sono volte che un nano deve fare ciò che deve essere fatto” e il protagonista principale, il nano Paer, ha ben presente tale motto. “Eroe” meno idealizzato di altri, Paer non è per nulla ansioso di lanciarsi in imprese pericolose; quando si risolve a farlo, è perché riconosce che è lui quello che ha migliori probabilità di riuscire con successo a fare “ciò che deve essere fatto”. E’, insomma, il suo senso civico e il suo senso del dovere a muoverlo. E un titolo come “Ciò che deve essere fatto” mi sembra rendere molto l’idea del senso del dovere che permea tutto il romanzo.

Ah, un romanzo incentrato su valori di questo genere non potrà che attirare l’attenzione dei nostri lettori nani!

Già… e immagino anche qui, “nel mondo reale” in generale e in Italia in particolare, quanto spopolerà… magari tra i “furbetti del cartellino”... Mmpf! Forse questi valori, per molte persone, sono ormai più fantasy che realtà.

Ma se la pensa così, perché ha scritto un romanzo del genere?

Forse perché ritengo, nel mio caso, che sia “ciò che deve essere fatto”. Dopo tutto… fintanto che qualcuno parla (o fa parlare) di questi valori, significa che questi non sono ancora spariti, giusto?

E la decisione di devolvere i suoi proventi derivanti dalla vendita di questo libro per contribuire a pagare le cure di Gessica Notaro? Anche questo lei ritiene che sia “ciò che deve essere fatto”?

In effetti, anche qui ho seguito l’impulso della mia coscienza… ciò che secondo me andava fatto. Vede, trovo che quanto accaduto a Gessica sia una ingiustizia tremenda. In nessun mondo, reale o fantastico, dovrebbero succedere certe cose. Purtroppo, il fattaccio è ormai accaduto… e non è più in potere di nessuno cancellarlo. Ma se col mio piccolo gesto potrò almeno contribuire a mitigarne le conseguenze, sarà per me una soddisfazione enorme.

Insomma, ha voluto a suo modo (e in più modi) lasciarsi ispirare da Paer, il protagonista del suo romanzo. Torniamo dunque a lui; lei sottolineava poco prima il fatto che si tratti di un eroe poco idealizzato.

Così poco idealizzato, che io “eroe” lo avevo messo tra virgolette… Percepisco invece, dall’intonazione con cui ha pronunciato la parola, che lei, le virgolette, non le ha utilizzate!

Davvero un udito fine e sensibile il suo… O mi legge nel pensiero? Comunque d’accordo, diciamo “eroe” se così preferisce. Ma ora ci spieghi più in dettaglio.

A dire il vero, anche nei miei precedenti romanzi ho sempre cercato di tratteggiare i protagonisti con un certo realismo, mettendo in evidenza le rispettive luci ed ombre… ma spesso i protagonisti di maggior rilievo possedevano in effetti doti di spicco, d’eccezione. Con Paer, ho voluto approfondire (e narrare) un eroismo più umano ed in un certo senso più alla portata di tutti.
Paer non è un guerriero invincibile; ha soltanto una certa esperienza di avventure e combattimenti, che gli garantisce qualche possibilità di sopravvivenza in più dei suoi concittadini più pacifici.
Paer non è senza paura, anzi, ne è letteralmente perseguitato! Qui, però, ho riscoperto (e tenuto a riproporre) una verità che il mio autore fantasy preferito, David Gemmell, mi aveva insegnato: non c’è vero eroismo senza paura. Del resto, quando il dovere chiama… ecco che Paer combatte coraggiosamente contro la propria paura e, per lo più, la vince - finendo per imbarcarsi nell’ennesimo pericoloso cimento.
E come se non bastasse che Paer non è senza paura… scopriamo nel romanzo che non è nemmeno senza macchia! Difatti, nel corso della storia, più volte si ritrova a far i conti con un passato di cui, evidentemente, non va orgoglioso.
Quindi, se Paer non è invincibile, non è senza paura, non è senza macchia… lei non trova che assomigli abbastanza a noi, a ciascuno di noi? Eppure, Paer è l’idolo della propria città. Perché? Perché Paer, a dispetto dei propri limiti, comunque si sforza di ascoltare la propria coscienza, di interessarsi di chi gli sta vicino e di aiutarlo quando e come può... di fare insomma “ciò che deve essere fatto”. E’ questo il suo eroismo. Un eroismo più alla portata di tutti, dicevo… ma non per questo banale né affatto scontato (o non sarebbe più eroismo!). Io vorrei tanto che nel mondo reale avessimo più Paer.

Dunque un “eroe” meno fantastico e più reale di tanti altri. Del resto, anche il suo fantasy in generale e questo romanzo in particolare mi pare ben poco idealizzato.

Sì, questo senz’altro. La mia ambientazione è medievaleggiante, quindi, nei miei romanzi, ci si deve attendere un livello di violenza circa in linea con quello di tale epoca. Non che mi diletti di scene macabre o cruente presentate per il solo gusto dello shock, però non mi piace nemmeno sublimare la crudezza che fa parte del vissuto dei miei personaggi. Sì, insomma, nei miei fantasy in generale e anche in “Ciò che deve essere fatto” in particolare, si ritrova un realismo, per intenderci con esempi celebri, in linea con quello di George Martin, o di Mark Lawrence, o di David Gemmell. Tra l’altro, chi, come me, è appassionato di Gemmell, potrà forse riconoscere come uno dei personaggi che compaiono nel romanzo sia, quanto a letalità, simile a diversi eroi gemmelliani e, di più, come una determinata scelta che costui farà ne ricordi una che (mutatis mutandis) anche l’"Uomo di Gerusalemme", John Shannow, aveva compiuto (e che, appena avevo letto, mi aveva sorpreso - e dunque colpito - molto).

Ah, certo, ricordo… Anch’io nel leggere quella scelta ero tornato con la mente a John Shannow. Ma ora, tornando a Paer, lei dice che nel mondo reale vorrebbe più persone come lui. Quindi, invece, secondo lei, di persone furbe e opportuniste come Nrak “Cuore d’Oro”, la madre di Paer, ne abbiamo d’avanzo?

Questo lo sta dicendo lei! Io mi dissocio…

Ma, scusi se la interrompo, come si dissocia? Io e lei siamo la stessa persona, casomai lo avesse dimenticato!

E allora? Non ha mai sentito che “Dada è libertà: può essere quindi anche contro Dada”? Io pertanto non potrò a volte essere anche un po’ contro me stesso? Ma mi lasci spiegare: il punto è che io non sono una persona che condanna facilmente. Se da un lato è vero che Nrak, con la sua furbizia, il suo opportunismo e la sua scarsa empatia, è piuttosto antitetica a Paer, io d’altro canto cerco sempre di non dimenticare che la bellezza di ogni individuo risiede nella sua originalità - nel suo essere se stesso, magari integrato con gli altri, eppure diverso dagli altri. Chi ci dice che anche un elemento come Nrak, sotto i giusti stimoli, non possa cambiare, in tutto o in parte, e imparare a mettere furbizia e lucidità al servizio del bene comune, anziché del proprio privato tornaconto? E chissà a quel punto quanti benefici sarebbe in grado di apportare a tutti!

Hmmm… Sì, certo...

Lei ne dubita? Ma perché poi? Consideri che un “furbo” come Nrak potrà forse imbrogliare un “eroe” come Paer… ma mai vincerlo definitivamente, perché non potrà mai renderlo uguale a sé. Il “furbo” può forse ammucchiare denaro, onori e privilegi, tesori in genere (il che in sé non fa schifo, ammettiamolo), ma un “eroe” conosce tesori che il “furbo”, semplicemente, non è in grado di vedere (per lo meno non fintanto che, con una evoluzione come quella che ho descritto, non diventa un po’ “eroico” a propria volta). Quindi, un “eroe” non si farà mai “furbo”. Mentre un “furbo” potrebbe un giorno farsi (almeno in parte) “eroico”, se riuscisse a capire quanto gli conviene. Io, quindi, ho speranza anche per gente come la nostra “Cuore d’Oro” Nrak!

Dato che il discorso è caduto su Nrak, approfondiamo a questo punto il tema della famiglia di Paer… dal momento che in questo fantasy il protagonista non è solo al mondo, ma interagisce con madre, padre, nonna, sorella, promessa sposa…

Sì, questo è un altro punto che avvicina Paer a noi comuni persone del mondo reale: Paer ha una famiglia. In molti altri romanzi fantasy che ho letto, il tema della famiglia del protagonista non è sviluppato in modo molto approfondito. Come già notavo in una mia presentazione della mia opera su anobii, spesso le famiglie degli eroi fantasy sono clamorosamente assenti… o perché del tutto taciute, o perché brutalmente sterminate a inizio vicende, o perché ridotte a un solo membro (padre? fratello?) scampato al massacro o all’oblio soltanto perché utile come antagonista… Sì, insomma, ho visto così tanti autori fantasy evitare la complicazione della gestione di una famiglia (anche solo un po’) “normale” per il protagonista, che io mi sono sentito allettato dal tentare invece il cimento. Ed ecco quindi Paer che, già dal primo capitolo, nel bel mezzo di una delle proprie imprese, è intempestivamente costretto a ricordarsi che non si deve azzardare a venir meno agli impegni familiari. Proseguendo, per tutto il corso delle varie vicende, sempre le aspirazioni di Paer devono fare i conti con le opinioni della famiglia (madre e nonna in primis) e della promessa sposa e con gli eventuali vincoli che talvolta ne derivano. E, come nelle migliori famiglie, talvolta le differenze di vedute portano a opposizioni notevoli, da cui possono arrivare a scaturire misure davvero drastiche...

Ah, certo, lei si riferisce a cosa decide la famiglia quando Paer si mette in testa di porre fine…

Sì, sì, proprio a quello (siccome siamo la stessa persona, so bene a quale episodio sta pensando)! Ma, mi perdoni, se ora la interrompo io, non vorrei che facessimo un simile spoiler.

D’accordo, ma mi dica allora almeno questo: nel sottolineare come familiari o persone care in genere, pur con le migliori intenzioni del mondo, possano mettere i bastoni tra le ruote a chi sceglie di fare “ciò che deve essere fatto”, lei ha attinto al proprio vissuto personale?

Indubbiamente, uno scrittore è bene che scriva di ciò che conosce; di conseguenza, le situazioni familiari mie e di altre persone a me molto ben note sono state una imprescindibile base di ispirazione e di partenza… Io però preferisco sempre rimaneggiare e riadattare la realtà (talvolta anche di molto), piuttosto che trasporla tale quale nelle mie opere; quindi posso assicurare che le vicessitudini di Paer con i propri cari sono solo e soltanto sue… non esistono persone del mondo reale alle quali io mi sia permesso di “rubare” (o anche solo prendere a prestito) i trascorsi. Non farei mai una cosa del genere, né a me stesso né ad altri.

Benissimo, niente furto di trascorsi dunque. Ciò è davvero lodevole. Ma c’è anche chi la ha velatamente accusata di bestemmia. Che può dirci al riguardo?

Beh, no, non esageriamo, nessuno mi ha apertamente rivolto accuse del genere. C’è semplicemente stato chi ha notato che un paio di nomi di divinità che compaiono nel romanzo assomigliano molto a bestemmie o imprecazioni. Si tratta però di niente di più che di un gioco di parole! Le due divinità incriminate sono divinità degli orchi. La prima che compare, è il dio orchesco della bestemmia. Questo nume incarna il disprezzo che tipicamente esibiscono gli orchi verso la sacralità… e viene venerato col nome di Orco Dio. La divinità che ha preso in moglie, la quale si concede occasionalmente ai fedeli più meritevoli (gli orchi non sono troppo per le ricompense spirituali), è invece nota come Orca Puttana. Come si può ben notare, non ho fatto altro che rimaneggiare orchescamente una bestemmia e una imprecazione… ma senza alcuna intenzione di bestemmiare effettivamente né di incentivare o difendere una pratica, come la bestemmia, dalla quale io, personalmente, mi astengo con convinzione. Nella mia vita io non ho mai detto *@^&*^!%@%*! e non comincerò certo adesso.

Tecnicamente, l’ha appena detto…

Eh no! Io ho soltanto alluso… Non ha fatto caso che ho pronunciato la parola offuscata? Quindi, in fin dei conti, non l’ho pronunciata.

In effetti, ha ragione. Ma ora che abbiamo parlato tanto sul romanzo, per concludere, allarghiamoci per un momento a lei e alla sua opera. Fino a oggi, lei ha pubblicato soltanto romanzi fantasy. Come mai questa predilezione per questo genere?

Dev’essere per il mio grande amore per la libertà. Che è poi lo stesso motivo per cui amo tanto il mio attuale lavoro principale, quello di programmatore. Come Linus Torvalds aveva una volta osservato, un programmatore è (in un certo limitato senso, aggiungo io) un dio per il computer. Qualsiasi operazione (tra quelle possibili per il computer) il programmatore ordini al computer, il computer la fa. E la fa nel modo che il programmatore gli ha insegnato a farla. Non ci sono discussioni o esitazioni. Il programmatore comanda, il computer esegue.
Le faccio un esempio: se io ordino a un mio amico matematico di calcolarmi il risultato di 1/0, so già che avrò delle difficoltà. Anzitutto, il mio amico potrebbe rifiutare di farsi comandare e mandarmi a quel paese, che magari l’ho disturbato mentre era impegnato in attività per lui più piacevoli o interessanti. Ma anche se trovo il mio amico matematico in un momento in cui è disponibile, collaborativo e di ottimo umore, di sicuro la prima risposta che ottengo è che “non ha senso calcolare un numero diviso zero”, più eventuali supercazzole su limiti di 1/x per x tendente a zero da destra o da sinistra.
Col computer, tutto diverso. Se tra le operazioni per lui possibili figura la divisione e io gli comando di calcolare 1/0, neanche una piega. Lo fa. Magari il risultato non ha senso (la qual cosa non mi sorprenderebbe, dato che il mio ipotetico amico matematico ha dopo tutto ragione: 1/0 non ha significato). Magari scateno un errore da qualche parte. Ma ciò non importa. Il punto è che il computer lo fa. Esegue l’operazione. Sensata o meno che sia. Ed io ne vedrò gli effetti. Qualsiasi senso o scopo questi abbiano per me. Il computer non si permette di sindacare. Io dico, lui fa. Tocca a me e a me soltanto, dargli ordini che producano effetti sensati o, comunque, da me desiderati (o meglio ancora, dai miei clienti desiderati, se voglio che mi paghino).
Scrivendo un fantasy, io godo di una libertà molto simile, dal momento che posso immaginare un mondo completamente altro dal nostro, governato dalle leggi fisiche o magiche che più mi piacciono e popolato da qualsiasi creatura io mi prenda la briga di inventare. A quel punto, tocca a me e a me soltanto, creare una ambientazione e una storia che sia sensata o, comunque, a me gradita (e meglio ancora gradita pure ai miei lettori, se voglio che mi leggano).

Se è tanto il suo amore per questo genere di letteratura, immagino stia già pensando al suo prossimo libro, se non addirittura lavorandoci!

Al momento, purtroppo, sono preso da altre questioni, perché per me scrivere romanzi fantasy è sicuramente un passatempo molto bello… ma anche molto esigente. Cercare di creare un prodotto di qualità richiede molto tempo e fatica tra ricerche, ideazione, stesure,  correzioni, riscritture... A maggior ragione se ci si deve autoprodurre, perché in quel caso si è del tutto abbandonati a sé stessi e bisogna occuparsi anche di aspetti per i quali, normalmente, un autore ha importanti aiuti esterni. Un esempio fra tanti? L’editing: se non si ha una casa editrice alle spalle che metta un editor a disposizione, deve sopperire l’autore in qualche modo (o cercandolo e pagandolo di persona, o sostituendolo con amici volenterosi e sufficientemente critici che leggano il romanzo, o…). Ma non solo. Anche una volta realizzato un prodotto di qualità (attività che, nel mio caso, in media mi richiede un anno), se si è abbandonati a sé stessi, la fatica non è affatto conclusa! Occorre continuare a lavorare per promuoverlo e venderlo (non a caso, è quello che anche ora sto facendo nel rilasciare questa intervista).
Di conseguenza, ora che è un periodo della mia vita in cui ho margini di tempo più risicati, sono restio a progettare già un prossimo romanzo.
Però, mi viene in mente una cosa che una volta ho detto a una persona a cui molto tengo, per cercare di consolarla da un brutto rovescio della sorte che aveva avuto: “Una delle cose che la vita mi ha insegnato, è che non possiamo mai essere sicuri di ciò che il domani porta”. Di conseguenza, armato del mio abituale ottimismo, io sono sempre restio ad abbandonare del tutto la speranza. Al momento, non sto progettando nuove produzioni letterarie, ma… chi può saperlo? Un domani magari mi attiverò anche per il prossimo romanzo.

Glielo auguro di cuore… visto il fervore con cui ci ha presentato il suo libro e la passione con cui ci ha parlato della sua attività di scrittore. E me lo auguro anche per tutti coloro che già hanno imparato ad apprezzare i suoi romanzi; le ho già detto in apertura di intervista che li ho letti tutti e che mi sono piaciuti! La ringrazio per aver concesso l’intervista a “So darn fantasy magazine”, è stato un vero piacere incontrarla di persona. Buona giornata!

Si figuri, piacere mio! E una buona giornata anche a lei