mercoledì 30 agosto 2017

L'arena dei draghi - Capitolo 1

Àttes,
anno 310156 dalla fondazione di Àruet,
giorno di Nyjamé, 18 Makìsto


Erano tutti dei pecoroni. Questo pensava dama Dèlyn, torcendo nervosamente le anziane affusolate dita delle mani giunte e intrecciate sotto le ampie maniche della frusciante guarnacca di seta, la superficie ampia e liscia della quale faceva da stridente contrappunto al piccolo viso della gnoma, segnato da tante e tanto profonde rughe da ricordare vagamente una prugna secca. Gli gnomi erano a dire il vero una razza quasi mai bellicosa; dotati di una statura che soltanto in casi eccezionali li portava a superare il metro di altezza, di morbide protuberanze che conferivano loro un aspetto assai molto più pacioso che intimidatorio, nonché di un'indole davvero poco incline alla lotta o alla violenza. Ma a Dèlyn non andava giù che si fosse dovuti arrivare a quella decisione.
«Ma... siamo sicuri che sia affidabile?» si trattenne a stento dal balbettare un altro gnomo, lord Nèffy, continuando a storcere il naso da una parte all'altra. A nessuno dei consiglieri piaceva particolarmente riunirsi in quella sala, rischiarata, in quanto sotterranea, dalla luce diffusa da diverse elioliti radianti (ovvero elioliti, o "pietre del sole", incantate per irradiare luce solare) opportunamente disposte: il locale era originariamente adibito a misero magazzino, al livello delle fogne della bella ed organizzata città di Àttes (capitale della repubblica marinara gnomica di Àruet), da lungo tempo consegnata alla storia col soprannome di "Città Ideale"; Nèffy, tuttavia, doveva trovare l'odore residuo, che nemmeno il potere della (peraltro non sviluppatissima) magia gnomica aveva saputo cancellare del tutto, assai meno ideale...anzi, davvero insopportabile.
«Deve esserlo...» mormorò, forse più per convincere sé stesso che i colleghi, lord Lòopi, mettendosi le mani dagli eleganti guanti nei capelli... almeno quei pochi che l'avanzata calvizie gli aveva ancora lasciato «Altrimenti... Altrimenti...»
«Lo sarà!» lord Tùzze batté un paffuto pugno sulla scrivania che aveva davanti. Apprezzarne la ruvidezza, in contrasto con la levigata mobilia della quale aveva goduto fino a poche decine di anni addietro, non migliorò il suo umore. Né lo fece, nel breve momento di silenzio che seguì, udire il sottofondo di lontani squittii di topi.
«Lord Dòranel stesso mi ha assistito nella fase di ricerca» assicurò lord Tùzze, con gli occhietti neri che dardeggiavano da un volto all'altro come a sfidare qualcuno a criticare il suo operato. «E abbiamo convenuto insieme che questo Bentaràko è il migliore».
"Ne ha convenuto pure lord Dòranel?" avrebbe desiderato raccogliere prontamente la sfida dama Dèlyn "Allora possiamo dormire sonni tranquilli...". Ma tacque. L'anziana gnoma sapeva bene quanto tenace e vendicativo potesse rivelarsi lord Tùzze. Se l'avesse davvero contrariato, egli avrebbe potuto cominciare a manovrare per estrometterla dal consiglio dei dieci che governava in nome del popolo sovrano sulla repubblica di Àruet. E anche se governare su di un popolo di gnomi (assai più assente che sovrano, data la natura curiosa e girovaga caratteristica di tale razza) non costituiva poi una così grande gratificazione, Dèlyn non contemplava di buon grado l'idea di perdere la propria posizione di privilegio.
«La sua fama ha attraversato l'oceano di Shùltor!» proseguiva, nel mentre, infervorato quanto ignaro, Tùzze, sfoggiando col capo eretto la propria scodella di capelli resi nuovamente mori, di recente, dai sacri poteri dei sacerdoti di Jàras, ai quali egli aveva concesso importanti favori «Ha dato la caccia ogni genere di creature! Anche draghi!»
Un brusio percorse la sala, riempiendo Tùzze di orgoglio. Aveva già sottolineato in almeno altre due occasioni questa presunta abilità dell'uomo che aveva fatto chiamare da un altro continente per risolvere il loro spinoso problema. E ancora i suoi colleghi si lasciavano prendere da profonda meraviglia. Tùzze era orgoglioso dell'uomo che aveva scovato.
«Lui ci aiuterà» concluse lord Tùzze. «E se scoprirà che anche i Figli di Prìbbo sono coinvolti, come da molto tempo a qualcuno piace pensare, provvederà anche a loro».

«I Figli di Prìbbo responsabili, certo...» borbottava dama Dèlyn, poco dopo, con lord Àurre, abbandonando la riunione ormai sciolta «dei sacerdoti di Jàras! Come vorrei che i loro colleghi avessero udito questa insinuazione del nostro caro lord Tùzze! I draghi li avranno massacrati! Ecco, che cosa è successo! Ci vuole un genio a capirlo?! E anziché radunare l'esercito... Chiamiamo un mostro!»
«Dèlyn, mia cara,» offrì all'altra il braccio vestito di prezioso broccato lord Àurre, gnomo la cui ricchezza era addirittura proverbiale «devi ammettere che la situazione è poco chiara. La coraggiosissima e nobile iniziativa di Syòg Prìbbo, cinquemila anni or sono, ci aveva garantito, fino ad oggi, un livello di sicurezza che aveva dell'incredibile, del miracoloso. Le scorribande dei draghi si erano ridotte in maniera impressionante sia per numero che per violenza. Com'è che, tutto a un tratto, da vari decenni, le scorrerie ricominciano, forse anche più feroci e violente che un tempo? E perché i draghi cominciano a catturare un così vasto numero di prigionieri? Non l'avevano mai fatto, in precedenza. E poi persino le nostre innate capacità di suscitare compassione e clemenza sembrano meno efficaci, come se i draghi avessero studiato questa nostra difesa e svilupato una strategia per contrastarla. Cosa che sarebbe, ancora una volta, inaudita. Devi ammettere che l'ipotesi che ci sia una mente diversa da quella dei draghi dietro a tutto questo non sembra poi così assurda».
«I Figli di Prìbbo sono sempre stati i più santi tra i servitori di Jàras!» rischiò di alzare la voce per l'indignazione dama Dèlyn, controllata da pacati cenni dell'altro. Mai nessuno più di Prìbbo aveva meritato la qualifica di Syòg, ovvero santo, gnomo (o comunque individuo) santo, sacro, pio. E i suoi discepoli non gli erano stati molto da meno.
«Essi non hanno mai abbandonato Syòg Prìbbo,» proseguì la dama «da quando egli è andato di persona a portare il sacro messaggio di Jàras ai draghi, cinquemila anni fa! È probabilmente più santo uno solo di loro, piuttosto che tutta la cricca che Tùzze sta cercando di inserire nelle alte sfere del clero! Sai cosa ti dico? Per me, ha scelto quel... quel tale (perdonami, ma non riesco a chiamarlo "uomo") in modo che, se mai qualcuno di quei santi gnomi fosse ancora vivo, venga eliminato per sempre!»
«Ammetto che Bentaràko il Rinnegato ha una fama davvero pessima,» convenne Àurre «ma non si ha poi tutta questa scelta, quando si cerca qualcuno realmente in grado di affrontare draghi...»
«Fama pessima!» sputò fuori le parole la gnoma come se avessero un cattivo sapore, corrugando i lineamenti dell'anziano viso fino quasi a scomparire in una maschera grottesca «A volte mi stupisco ancora degli abissi dei tuoi eufemismi! Tu sai che...»

La vecchia gnoma si sforzava di cucire, riparata, nel proprio negozio un tempo lussuoso, dal caldo sole estivo del primo pomeriggio. Il clima non era così torrido come nelle zone più meridionali o orientali di Aéskelon, il continente di fuoco, ma trascorrere anche soltanto un'ora sotto l'impietoso occhio del feroce astro era un'esperienza a cui qualsiasi creatura costituita da meno di nove parti su dieci di fiamma rinunciava volentieri. Il sole di Aéskelon era indomito e selvaggio quanto Aéskelon stesso. Il contrasto tra la lama di luce che trapassava senza rimorso i vetri rotti della finestra e la penombra circostante era stridente.
«Zàrty! Dicono che stia arrivando!» stridette a propria volta (anche se in maniera assai più tangibile e meno figurata) la voce del gracile straccivendolo gnomo Nòlle, mentre questi apriva ulteriormente la porta socchiusa e faceva il proprio ingresso.
«Bene» sospirò Zàrty. I suoi stanchi occhi avevano visto gente di tutti i tipi, nel corso della sua lunga vita. Tuttavia, avrebbe fatto volentieri a meno di vedere quello straniero. Quel depravato sanguinario. Il consiglio doveva essere proprio alla disperazione, se era stato costretto a rivolgersi a un individuo simile.
«Ci libererà, vedrai!» pareva assai più galvanizzato lo gnomo smunto «Lui riuscirà a liberarci dai draghi...»
«Un umano?» sollevò per un momento un sopracciglio la cucitrice, sospendendo il proprio lavoro per guardare negli occhi il visitatore abituale «Per giunta un assassino? Un uomo perverso, maledetto dagli dei e dagli uomini? Io credo che porterà solo rovina...»
«Più di questa?» allargò le braccia, genuinamente stupito, il visitatore.
La cucitrice sospirò interiormente. Si trovavano nei quartieri alti di Àttes, la Città Ideale, come era stata conosciuta fino a prima della recrudescenza delle scorrerie dei draghi. Una città realizzata seguendo minuziosamente un razionale progetto, indubbiamente frutto dei migliori architetti umani, all'epoca appositamente assoldati. Àttes, la quale si sviluppava su tre livelli: il più alto per i giardini e le costruzioni più sontuose, quello intermedio per le abitazioni della maggior parte dei cittadini e per le vie più ordinarie, il più basso, sotterraneo, per le fogne, eventuali magazzini, nonché le prigioni e le abitazioni di chiunque non potesse permettersi nulla di meglio.
Àttes era un vero capolavoro architettonico, per gli gnomi, i quali, solitamente, attribuivano scarsissima importanza all'abitazione e, a causa della loro indole girovaga, avevano dimore spesso poco dissimili da tende da campo! Per Àttes avevano fatto un'eccezione in ragione del fatto che quella era la capitale (e dunque il simbolo) dell'intera repubblica di Àruet.
Ma da quando, pochi decenni or sono, le scorrerie dei draghi si erano fatte frequenti e spietate, l'originaria gerarchia dei livelli si era capovolta. Dal momento che i draghi attaccavano dal cielo, i nobili quartieri alti erano stati presto dichiarati indifendibili. Troppo esposti e troppo lungamente saccheggiati, erano stati abbandonati dagli originari altezzosi abitanti, i quali avevano imposto uno scambio con i miserabili dell'ultimo livello. Ora, sempre meno difeso, sempre meno curato, sempre più degradato, il livello superiore non era divenuto altro che la grottesca ombra di ciò che era stato in precedenza. Il "negozio" della gnoma cucitrice era stato per l'appunto ricavato da una ampia e un tempo lussuosa stanza di una nobile villa. Nobile villa di cui il resto era stato abbattuto dai draghi o smantellato pezzo per pezzo dai pochi (ma in preoccupante aumento) gnomi derelitti o ridotti in povertà. Poteva davvero esserci rovina maggiore?
«Quando ti affidi a un uomo che infrange senza vergogna e senza rimorso le leggi degli dei e della natura,» sentenziò infine Zàrty «può sempre andare peggio. Oh,» concluse con una invocazione «Syòg Prìbbo, veglia su di noi!»

«Arriverà con la prossima nave, ti dico!» insisteva, concitato, il giovane gnomo Tràvve, biondo e dalla pelle bruciata dal sole, alla taverna «Me l'ha assicurato mio zio, che fa il mercante di stoffe ed è appena sbarcato con notizie fresche da Nùjin! Bentaràko il Rinnegato viaggia sul "Vento di Fuoco"!»
«Io voglio proprio vedere, che cosa combinerà, quando si troverà di fronte a un drago vero!» commentò Evàrky, un altro avventore gnomico dell'"Allegro Viaggiatore", modesta ma pulita taverna del livello mediano. Qualcun altro ridacchiò, probabilmente immaginandosi il grande eroe che se la batteva a gambe levate.
«Secondo me,» insistette allora Evàrky, grattandosi distrattamente il fianco «straccerà il contratto in mille pezzi e si rintanerà nel profondo della stiva della prima nave in partenza!»
«Non scherzare!» fece di nuovo Tràvve «Ha già cacciato altri draghi, in Tugùrnia! E all'ultimo che lo ha messo in dubbio, gli ha tagliato le orecchie e lo ha costretto a darle da mangiare al suo cane!»
«Ah sì?» rifiutò di cedere facilmente l'altro «Beh, mi piacerebbe proprio vederlo, il tuo bel campione, a tagliare le orecchie a un drago! Spero quasi in un piccolo attacco, per quando arriverà...»
«Taci, idiota!» si fece avanti un terzo gnomo, dalla barba ispida e dal corpetto liso, palesemente adirato «I draghi vengono già a trovarci abbastanza spesso senza che ce li chiami addosso tu! Se proprio ci terrai a vedere Bentaràko in azione, seguilo quando partirà, che non sarò io a fermarti, va bene? Ma fino a quel momento, lascia stare i draghi!»
Sapendo che, nel corso dell'ultima razzia, a quello gnomo era stata uccisa la famiglia, Evàrky tacque, e, improvvisamente incupito, ordinò un altro boccale di birra e si sedete in disparte.

«Dicono che parli coi demoni!» cicalecciava la giovane gnoma riccia e rossa, attingendo acqua dal pozzo assieme a un gruppetto di compagne.
«Sì, è vero! E dicono che uno dei demoni è diventato suo famiglio!» completò le informazioni un'altra ragazza gnoma, Vàelyn, spalancando i propri grandi e lucenti occhi chiari «Viaggia sempre con lui! Non lo lascia mai! Dicono che l'ultima donna con cui è stato...» (la ragazza abbassò ulteriormente la voce, segno che stava rivelando un interessantissimo quanto scabroso segreto) «ha dovuto giacere con tutti e due! Lui e il demone! Insieme!»
«Oh!» trasalì un'altra «e che ne è stato di lei?»
«Non si sa!» assicurò Vàlyn «Non si è più rivista...»

Quando il "Vento di Fuoco" attraccò al porto di Àttes, nel tardo pomeriggio, una insolita frotta di bambini (nonché una concentrazione curiosamente superiore alla media di ben più maturi gnomi adulti) era assiepata nelle vicinanze, in attesa di vedere Bentaràko, Bentaràko il Rinnegato, Bentaràko il cacciatore di vite. Per tutto il giorno, le madri gnome avevano ritenuto che la minaccia di sottoporre i loro figli a Bentaràko per un pronto taglio di orecchie qualora fossero stati disobbedienti sarebbe ottimamente valsa allo scopo di ottenere che i pargoli si comportassero bene; invece, con loro costernata sorpresa, erano state costrette a invertire la minaccia: i fanciulli avrebbero dovuto dimostrarsi bravi e ubbidienti al fine di incontrare questo feroce e truculento straniero, sul cui conto giravano le dicerie più inverosimili. Le ultime voci assicuravano che fosse solito cibarsi dei corpi ancora caldi dei nemici uccisi. E molti, morbosamente affascinati, volevano vederlo.
Ma Bentaràko non si trovava a bordo del "Vento di Fuoco". Il capitano del vascello disse che sarebbe forse arrivato col "Serpente di Mare" l'indomani o con la "Bellezza" il giorno dopo ancora.
Anche il "Serpente di Mare", il giorno seguente, deluse le aspettative. Ma quando, in ritardo per un imprevisto fortunale, al mattino di altri tre giorni dopo, giunse in porto la "Bellezza", dall'elegante e slanciato galeone gnomico scese un passeggero di dimensioni umane...

Àttes,
anno 310156 dalla fondazione di Àruet,
giorno di Phyjamé, 22 Makìsto


L'uomo scendeva senza incertezze lungo la stretta passerella, a dispetto dei lucidi e alti stivali neri, i quali gli giungevano fino alla coscia, per nulla adatti al caldo clima del continente di fuoco. Le brache e la camicia di buona fattura stonavano con la povera kefiyyah che portava sul capo, nascondendone parzialmente la scodella di lisci capelli neri; ma Bentaràko aveva evidentemente anteposto la difesa dall'impetuoso sole estivo che solitamente imperversava su Aéskelon, alle considerazioni meramente estetiche. Al suo fianco, anche Lestèria, che incedeva con pari sicurezza, ne portava una.
«Hai visto?» sorrise Bentaràko alla propria amata «Siamo arrivati».
Lestèria gli rispose con uno sguardo di quei bellissimi occhi neri che egli aveva imparato ad amare. Occhi in cui si rifletteva quell'amore e quella dolcezza che facevano da irrinunciabile contrappeso alla sua sanguinaria professione. Spia. Assassino. Cacciatore. Di ogni genere di preda. Puntualmente ricercato quando i problemi erano più spinosi. Le probabilità più esigue. I pericoli più grandi. E altrettanto puntualmente dimenticato, a cose fatte, quando invece si preferiva ricordare... altro. Come la scomodità della sua natura così originale.
«Ehm...» si fece avanti, parlando in Àruettese, la lingua utilizzata da tutti gli gnomi della repubblica, l'unico altro uomo presente, tra il diluvio di sguardi gnomici circostanti pessimamente dissimulati «Lei è il signor Bentaràko?»
"Sì. E tu hai paura" capì subito Bentaràko. Capire al volo le situazioni era parte integrante del suo mestiere. Rispose con un cenno affermativo del capo.
«Ehm...» esitò un momento l'uomo, salvo poi, evidentemente, decidere di presentarsi, tendendo la mano al nuovo venuto «Io sono lord Dòranel, uomo d'ingegno nonché consigliere di questa città. Il consiglio ha pensato di inviare me, in quanto unico rappresentante umano, a porgerle il nostro più caloroso...»
«L'etichetta vorrebbe che lei salutasse prima la mia signora» squadrò l'altro serio Bentaràko, esprimendosi nell'Àruettese lento, ma quasi del tutto corretto, che aveva avuto modo di imparare nel corso del lungo viaggio per mare e degli occasionali scali nei porti. L'ambasciatore non cominciava affatto bene.
«La sua...» lo guardò senza capire il consigliere, il quale evidentemente, se pure si riteneva uomo d'ingegno, non poteva certo fregiarsi del titolo di "uomo d'intuito" «Oh, certo!» si decise infine, mentre gocce di sudore indubbiamente non causate dalla temperatura ancora mite del mattino gli imperlavano la fronte «Mi scusi... Non ho molta dimestichezza negli incarichi ufficiali...» e tese senz'altro indugio la mano a Lestèria, facendone la conoscenza. Dopo, rabbonito, Bentaràko lo gratifico di una stretta vigorosa.
«Venga, prego, le faccio strada...» si offrì Dòranel «Il consiglio è pronto a riunirsi e la riceverà immediatamente!»
«Se non le dispiace, consigliere,» obiettò Bentaràko, in un tono che lasciava intendere che sarebbe stato molto meglio che all'altro non dispiacesse «vorremmo prima mangiare e bere qualcosa. Quale taverna saprebbe consigliarci?»

L'abituale cacofonia che faceva da sottofondo durante le ore di apertura dell'"Allegro Viaggiatore" cessò nel volgere di pochi secondi.
"Spero di aver scelto bene..." sudava freddo Dòranel. Aveva optato per il livello intermedio, onde non rischiare l'ostilità dei gestori degli esercizi più titolati, ma, al contempo, non offendere il prezioso e (soprattutto) pericoloso ospite portandolo in una bettola. Per giunta, la taverna che aveva adocchiato sul momento lo aveva colpito per l'aria di dignitosa semplicità...
Gli occhi di tutti erano fissi su Bentaràko e Lestèria.
Brùffi, il taverniere, il quale fino a quel momento si era fatto avanti a piccoli passi incerti, al vedere e riconoscere Dòranel, ancora fuori dalla porta, parve prendere coraggio e si rivolse a Bentaràko: «Signore... nel mio locale non possono entrare...»
«Lei viene dove vado io» tagliò corto Bentaràko, subito pericolosamente indispettito. Tutte le volte la stessa storia! Sempre gli stessi assurdi pregiudizi! Avrebbe dovuto esserci ormai abituato; invece, tutte le volte che volevano discriminare la sua Lestèria soltanto perché era quello che era, l'uomo sentiva invariabilmente l'impellente desiderio di insegnare all'idiota di turno un po' di tolleranza a mezzo della propria spada.
«Signore...» Brùffi cercò con gli occhi il soccorso di Dòranel «È la legge...»
Bentaràko condusse Lestèria a un tavolo vuoto, scostò una sedia, sulla quale la fece accomodare, dopo di che si sedette a propria volta e fissò lo gnomo negli occhi: «Ecco, adesso ho infranto la tua preziosa legge. E ora vuoi servirci? O devo commettere un crimine più grave?»
Brùffi non sembrava credere a quanto aveva appena visto: passava continuamente il proprio sguardo stralunato dal consigliere, apparentemente impegnato nel vano tentativo di scomparire con la forza del pensiero, ancora fermo appena fuori della soglia del locale, all'avventuriero, che perseverava a sfidare senza riguardo la legge della città! Alla fine, gli occhi dello gnomo finirono per incontrare quelli di Bentaràko il Rinnegato, occhi azzurri e gelidi come l'acciaio. Lo gnomo era fortemente impressionato (spaventato era un termine che avrebbe reso meglio l'idea)... quindi deglutì e replicò, nel silenzio di tomba che si era nel mentre creato: «Capisco... I signori desiderano?»
Successivamente, però, quando si trovò in cucina, mandò una sguattera a chiamare le guardie. Ma chi si credeva di essere, quello straniero del demonio? Come si permetteva, di venire a fare il prepotente nella sua taverna, nella quale, fosse dipeso da lui, una persona così non l'avrebbe fatta mai entrare, ne fosse andato del fallimento del locale? Le autorità lo avrebbero sistemato... C'era niente di meno che un consigliere, come testimone dell'atteggiamento inqualificabile dell'uomo!

Il capitano Giàrky arrivò in men che non si dica, sferragliando nell'ampia cotta di maglia che gli arrivava fino a poco sopra dell'altezza delle ginocchia, alla testa dei propri dieci armigeri gnomi armati di picca. Per quanto uno gnomo potesse fare un'impressione marziale, il capitano la faceva: schiena eretta, forme meno arrotondate tanto di quelle dello gnomo tipico, quanto di quelle dei propri sottoposti, capo rasato quasi a zero, spada snudata in mano. Al vederlo sopraggiungere, il consigliere Dòranel si sentì mancare. La situazione gli stava sfuggendo di mano.
«Capitano!» cominciò a chiedere l'uomo «Quali incombenze la portano...»
«È lì dentro!» la sguattera gnoma al seguito indicò, con dito e voce tremante, l'ingresso della locanda «Vedrete che sono ancora lì, tutti e due! E lui ha anche minacciato il mio padrone...»
«Ci penso io!» procedette deciso verso l'ingresso il capitano. Nessuno poteva permettersi di turbare impunemente la quiete del quartiere assegnatogli; nessuno! Il capitano Giàrky prendeva molto sul serio le proprie responsabilità.
«Ma capitano...» incominciò Dòranel, pur senza sapere come continuare la frase.
«Consigliere?» lo squadrò lo gnomo «Vuole forse dirmi che lo straniero agisce sotto l'egida del consiglio? Che il consiglio della città di Àttes approva e autorizza formalmente tutto questo?»
No. Dòranel lo sapeva. Il consiglio avrebbe accettato "tutto questo". Ma mai approvato. Mai autorizzato formalmente. Ci sarebbe soltanto mancato che il consiglio "approvasse formalmente" una palese violazione delle norme cittadine!
Il capitano accolse l'imbarazzato silenzio come un "no" e si sentì autorizzato a procedere.
Entrò.
«Straniero,» raggiunse in men che non si dica il tavolo dell'unico uomo presente nella taverna «ti sei divertito abbastanza. Lo spettacolo che state offrendo tu e...»
«Bada a quello che dici, mezzo capitano!» lo interruppe subito Bentaràko, alludendo, col termine "mezzo", alle dimensioni dello gnomo in rapporto alle proprie.
«Che cazzo hai detto?» si sporse minaccioso l'ufficiale, mentre gli armigeri cominciavano lentamente a raggiungerlo «Vuoi aggiungere l'offesa a pubblico ufficiale alla lista delle accuse a tuo carico? Ti sorride tanto, l'idea di passare una giornata o due legato sotto il sole e cosparso di miele? Le mosche apprezzano sempre tanto il nostro modo di fare giustizia... Ma forse tu ci vai a letto, con le mosche visto chi...»
Lestèria cominciava a dare i primi segni di inquietudine... e ciò bastò a far decidere a Bentaràko il Rinnegato che era stato oltrepassato il limite. Il suo limite. L'unico di cui gli importasse.
Il capitano trasalì strizzando le palpebre all'improvvisa fitta di dolore, quando l'uomo, allungando la propria gamba sotto al corto tavolo della taverna gnomica, lo colpì al ginocchio, fino al quale la cotta di maglia non giungeva, col duro stivale. Lo gnomo non riaprì mai più gli occhi: l'avventuriero si era alzato estraendo la spada e gliel'aveva conficcata in bocca con un unico movimento, devastandolo. Le guardie gnomiche, abituate, tipicamente, a intervenire in casi di disturbo della quiete pubblica o, tutt'al più, ad aiutare a sgomberare rapidamente le aree sotto incursione di draghi, si guardavano scosse l'una con l'altra.
Dilettanti, pensò Bentaràko. Non vogliono morire. Vogliono solo arrivare a fine giornata e dimenticare. Magari, tra qualche giorno nemmeno ci crederanno più, che qualcuno ha massacrato sotto i loro occhi il loro beneamato capitano e si dimenticheranno del gelo che hanno sentito, quando la morte è passata loro accanto, sfiorandoli su una spalla.
«Ti sudano le mani» commentò l'avventuriero, rivolto al picchiere gnomo più vicino. L'attimo dopo, con un guizzo troppo rapido perché l'altro riuscisse a reagire, allungò la sinistra a chiudersi sul manico dell'arma ad asta e la strattonò, facendogliela scivolare via senza difficoltà dalla presa poco salda. Lo fissò negli occhi. "Mi sta implorando mentalmente di non ucciderlo," pensò Bentaràko "anche se la voce non vuol saperne di risalire la china della gola..." Gli altri nove armigeri avevano inconsapevolmente fatto un passo indietro.
Bentaràko lanciò di nuovo l'arma allo gnomo disarmato, accompagnata dalla parole: «Dovresti usare dei guanti, se hai questo problema. Altrimenti, prima o poi ti farai male».
Gli diede le spalle, come se l'altro non meritasse ulteriore attenzione. Sapeva che lo gnomo non avrebbe rischiato. Non lì, col cadavere del fu capitano il cui sangue si allargava sempre più sul pavimento della taverna, richiamando le prime mosche. Del resto, sorrise Bentaràko, il tizio non aveva appena detto che le mosche "apprezzavano sempre tanto il loro modo di fare giustizia"?
«Taverniere!» chiamò Bentaràko.
Muovendosi lentamente, come perso in un sogno o in un incubo, Brùffi si mosse da dietro il bancone, con passi esitanti.
«Fai dare una pulita qui!» ingiunse l'avventuriero «E alla svelta!» poi riprese a dedicarsi alla pagnotta al miele ed al formaggio di cui si stava occupando prima che il capitano lo distogliesse. Lestèria aveva intanto terminato la bistecca al sangue per cui aveva invece optato ed aveva un'aria felice. Bentaràko si stupiva sempre della capacità di lei di godere di ogni singola piccola gioia della vita. La accarezzò con affetto.
Il taverniere era troppo scosso per replicare oltre. Si chinò a sollevare parzialmente il corpo da sotto le ascelle e a trascinarlo via. Dopo sarebbe tornato per lavare via il sangue.
«Sentite,» si rivolse allora ai dieci armigeri Bentaràko «non occorre che vi disturbiate a scortarmi. Non appena mi sarò ristorato, sono atteso dal consiglio, che è il supremo organo di governo della città, giusto?»
I dieci annuirono. Erano molto comprensivi.
«Quindi,» proseguì Bentaràko «se avranno rimostranze da fare sul mio operato, potranno provvedere loro di persona, giusto? Lei che cosa ne dice,» cambiò improvvisamente interlocutore l'avventuriero «consigliere Dòranel?»
Tutti gli occhi della taverna si fissarono sulla figura dell'uomo imbarazzato, che si tormentava le bordature dell'elegante giornea, ancora sulla soglia del locale.
«Io...» si trovò colto alla sprovvista il consigliere «Sì, credo che sia il consiglio a dover decidere...»
«Sentito ragazzi?» sorrise agli armigeri Bentaràko «Potete andare. Ci pensa a tutto il vostro consiglio, vedrete. Vi auguro una buona giornata!»
Con imbarazzante quanto evidente sollievo, i dieci gnomi ricambiarono il saluto, borbottarono ringraziamenti per gli auguri e uscirono dal locale, ancora confusi e increduli per la scena di cui erano appena stati testimoni... e parziali protagonisti.

«... E per i servigi suoi e della sua signora, noi le consegneremo la somma di centomila rose d'oro, parte in contante, parte in gemme e gioielli ovvero altre merci preziose e di agevole trasporto, parte in lettera di credito, accettata praticamente da qualunque banca gnomica del mondo conosciuto» declamò Tùzze con solenne pompa, ergendosi per ostentare la propria ritrovata capigliatura corvina. «Inoltre, come da sua ultima richiesta, lei potrà ritirare in ogni momento un anticipo fino a una centesima parte della cifra convenuta per spese di equipaggiamento, ovvero far addebitare dette spese sul conto del presente consiglio. Lei ha ben compreso ovvero approva espressamente i termini del nostro accordo, signor Bentaràko?»
Certo che ho capito, pensava Bentaràko. Siete in brache di tela! Vivete sotto terra come topi, mentre le vostre belle ville, là sopra, le distruggono i draghi e le occupano i derelitti. Soltanto la vostra soprannaturale aura che ispira pietà e simpatia impedisce che i draghi spopolino integralmente la città. Non sapete che cosa sta succedendo. E avete una paura matta. Se riuscirò a far sì che le decine di draghi che vi opprimono da decenni spariscano e se potrò assicurarvi che non torneranno più, mi ricoprirete d'oro. Chiaro. La rosa d'oro è una moneta di tutto rispetto. Di grosso taglio. In uso in tutta la repubblica di Àruet. Peraltro assai ben accetta anche presso molti altri stati. Centomila rose d'oro... potrebbero addirittura corrispondere al valore un piccolo feudo, con castello e territori annessi. Sì, siete proprio in brache di tela! In più, tu vuoi che questi famosi "Figli di Prìbbo", che evidentemente possono guastare chissà quale tuo gioco, vengano fatti sparire, se mai fossero ancora in circolazione. Me l'avrai detto cinque volte, di non farmi scrupolo di "punirli" se avrò "il benché minimo" sospetto sulla loro responsabilità "anche parziale"... So leggere tra le righe, stai tranquillo. Come so leggere l'ostilità sul volto di quella specie di prugna secca laggiù. Ma le vostre beghe interne non mi riguardano. Io sono l'uomo che fa per te. Finché non provi a fregarmi.
«Vedrà, lord Tùzze,» sorrise ferale Bentaràko il Rinnegato «che saprò eliminare ogni suo problema, dal più grande... al più piccolo! Siamo d'accordo».
«E allora,» si accesero i neri occhietti del consigliere, il quale ben aveva colto ogni sottinteso «il consiglio la ringrazia e le porge i migliori auguri di buon lavoro, signor Bentaràko! A lei e alla sua signora!»

«"Auguri a lei e alla sua signora!" Ma ti rendi conto, Àurre?» era indignata Dèlyn, a riunione finita, mentre percorreva in compagnia del ricco collega il tratto di strada che avevano in comune per raggiungere le rispettive abitazioni «Quell'uomo è un pazzo. E un assassino. E le sue consuetudini sono contrarie a tutte le leggi degli gnomi e degli dei! E che cosa fa il consiglio, anziché impiccarlo, affogarlo, o almeno rinchiuderlo nella cella più buia che abbiamo? Lo giustifica, lo blandisce e lo assolda! Come se niente fosse!»
«Capisco il tuo punto di vista, mia cara,» sospirò Àurre, attivando nel mentre il magico potere della propria cioppa ricamata a fiori, il quale consisteva nell'emanare una delicata fragranza in grado di coprire qualsiasi cattivo odore; gli incantesimi e i miracoli con cui si era cercato di rendere dignitoso l'infimo livello della città non avevano purtroppo avuto successo completo...
«D'altro canto,» proseguì lo gnomo, procedendo senza fretta lungo il corridoio sotterraneo uniformemente illuminato da diverse elioliti radianti, «noi abbiamo bisogno di un avventuriero, forse anche di un vero e proprio assassino».
«Sì,» si infervorò Dèlyn, le rughe del suo anziano volto messe in risalto dalla furia «ma di un assassino di draghi, non di gnomi! Il povero capitano Giàrky è stato ucciso soltanto perché stava cercando di fargli lasciare fuori dalla taverna il suo animale. Quell'animale che lui si ostina a trattare come fosse una persona! Hai ascoltato anche tu il rapporto che ci ha fatto Dòranel; l'aveva anche fatta sedere su una sedia! Aveva costretto il taverniere a lasciarle annusare diverse pietanze per capire di che cosa aveva più voglia! Io comincio addirittura a credere alle voci che riferiscono di come lui addirittura abbia rapporti con lei! E che cosa fà, quel viscido codardo opportunista di Tùzze? Comincia anche lui a chiamarla "signora"! Àurre, ma ti rendi conto, che un valido e zelante ufficiale come il capitano Giàrky è morto per colpa di una cagna?»

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