Sottosuolo nei pressi di Traágrin,
anno 240524 dalla fondazione di Traágrin,
giorno di Liíro, 13 Graákel
Un dito più a
sinistra e avrebbe perso l'occhio. Così, invece, il khanjar, il
ricurvo e minaccioso coltellaccio del goblin, lo mancò e scivolò a
lato, con uno stridio fastidiosissimo, sulla superficie di metallo
del carrello retrostante.
"Giuro per la
Forgiatrice, questa è l'ultima volta" lottò per non
lasciarsi sopraffare dal panico Páer. Per un istante, fu certo che
il kriss, pugnale dalla caratteristica lama serpeggiante, con cui
l'altro goblin stava per infilzarlo avrebbe colpito al di sotto dello
strato di cuoio borchiato dell'armatura e gli avrebbe aperto le
carni.
Invece, la botta
disperata che il feroce nano aveva fatto partire, il lesto affondo
del manico di pieno acciaio della tabar, fu più rapido. Colse il
goblin sull'elmo cornuto. Il gracile umanoide emise un acuto verso di
dolore, mentre l'elmo ammaccato gli scivolava dalla testa. Barcollò
indietro di un passo e crollò stordito.
Quello col khanjar
morse a Páer una mano priva di protezione, per ostacolarlo, poi
colpì con la lama al collo. Gli attraversò la folta barba riccia,
tingendone il biondo scuro di sangue.
I goblin, simili,
nell'aspetto a gnomi fangosi, pustolosi e abbruttiti, sono assai meno
massicci dei nani, oltre che un poco più bassi, ma ciò che a loro
manca in stazza, viene abbondantemente compensato da pura e feroce
cattiveria. Una volta che Páer, detto Difensore, aveva aggredito gli
ultimi sei goblin, quelli che stavano trainando sulle rotaie del
binario morto l'ultimo carretto di minerale aurifero, tre erano
caduti, uno dopo l'altro, sotto i colpi della pesante tabar. Ma gli
altri tre non si erano lasciati intimidire. Si erano fatti sotto, per
portarsi a una distanza alla quale la pesante ascia sarebbe stata
pressoché inutile... a differenza delle loro corte armi. Uno non ce
l'aveva fatta. Due sì.
Ora, uno di questi
era riuscito a colpire.
Ci riprovò, ma
Difensore, stringendo i denti per soffocare il dolore, strattonò la
mano imprigionata. La liberò. I denti aguzzi del goblin avevano
morso a sangue.
Il gomito del nano
scattò e spaccò il labbro del pugnace nemico. Gli occhi marroni del
nano si socchiusero con odio, scacciando per un momento dolore e
paura. Incrociarono per una sola frazione di secondo quelli stretti e
omocromi del goblin. Il biondo capo ricciuto del nano era già
scattato. Fracassò il naso della feroce creaturina, facendola
abbattere a terra.
Finirli. Doveva
farlo subito, prima che potessero riprovare ad ammazzarlo. La ferita
al collo gli bruciava. Páer a tratti invidiava e a tratti odiava
quegli eroi delle storie di Némo Profeta, che affrontavano battaglie
su battaglie senza battere ciglio. Difensore, invece, nel corso di
ogni scontro, aveva sempre paura. Veniva il momento in cui la
concentrazione della lotta o la furia della pugna aiutavano a
relegare la paura in un angolo. Ma che brividi, quando una punta
passava vicino all'occhio, quando una lama rischiava di recidere
un'arteria, quando una botta minacciava di fracassare un osso...
«Páer, ricordati
di non fare tardi!» echeggiò improvvisamente, all'orecchio del teso
nano, la voce di sua madre.
Il nano perse
qualche preziosa frazione di attimo a trasalire, brandendo la propria
fida tabar di nuovo a due mani, e a volgersi sbalordito.
«Perché lo
sai che domani sera, a cena, festeggiamo il nuovo filone scoperto
da tuo padre» proseguiva, spietata e imperterrita, la voce della
nana, sempre all'orecchio di Difensore. «E devi avere anche
il tempo di lavarti e cambiarti!Non vorrai offendere la tua
famiglia piombando trafelato, all'ultimo momento e vestito da
straccione?!»
Magia!
Quella nana ossessionante di sua madre era ricorsa a un sortilegio di
telecomunicazione per ricordargli di prepararsi per la cena! E
proprio in quel momento, in cui il collo gli faceva male
per un taglio appena rimediato e ci aveva quasi lasciato la
pelle! Si trattenne dall'imprecare soltanto perché temeva che
l'incantesimo potesse veicolare l'inopportuna risposta. E Nrák, la
madre di Páer, davvero, davvero, davvero non era una nana che
convenisse offendere.
«Quindi, datti
una mossa» proseguì lo stregato messaggio. Ma il nano cessò di
prestarvi attenzione: i due goblin si stavano riprendendo. Ciò
significava che stavano per riprovare a ucciderlo.
Difensore emise un
verso belluino, forse impressionante, ma per il resto inutile, mentre
calava la tabar in un forte fendente contro il nemico più vicino,
quello a cui aveva rotto il naso. Il goblin riuscì a scansarsi di
misura. La pesante lama d'acciaio emise un fracasso assordante,
nonché alcune scintille, cozzando sulla pietra. Il goblin colse
l'occasione per scagliare il proprio khanjar, da una distanza dalla
quale sarebbe stato difficile sbagliare anche per uno gnomo sbronzo.
«E vedi di
non farti accoppare!» si concluse nel mentre il magico messaggio di
Nrák.
Il khanjar sibilò
accanto all'orecchio di Páer. O il goblin aveva una mira peggiore
di quella di uno gnomo sbronzo, o il fatto di dover tirare in tutta
fretta, col naso rotto e mentre un nano furibondo gli urlava addosso,
ben intenzionato a farlo a pezzi, doveva avergli impedito di rendere
al meglio.
Difensore gli si
avventò contro con una falcata e lo calciò a una gamba. Páer aveva
sempre avuto un piede di dimensioni ragguardevoli, per essere un
nano; un piede che, calzato in un duro stivale nanico dalla punta
accentuata, strappò nuove alte grida di dolore alla vittima.
«Così starai più
fermo» bofonchiò Difensore, calando una seconda volta la tabar.
Questa volta col riscontro di un disgustoso rumore di carne macellata
e di un ultimo grido di dolore.
Inutile dire che
l'altro goblin aveva avuto ogni agio di finire di riprendersi, di
recuperare il proprio pericoloso kriss dalla lama serpentina e di
sfruttare le proprie magiche facoltà per mimetizzarsi.
"Ci mancava
anche questa" pensò Páer, volgendo gli occhi ora qua, ora là,
sul chi vive. La ferita, che sarebbe probabilmente risultata letale
sulla morbida pelle o sul debole corpo di un Superficiale come un
umano o uno gnomo, non era affatto grave, per Difensore. Le carni
naniche, di proverbiale resistenza, avevano riportato un taglio non
troppo profondo. Ma un taglio è sempre un taglio e a Páer dava
fastidio. Avrebbe preferito potersi rilassare, potersi bendare,
potersi felicitare di esserne uscito vivo ancora una volta, magari
riportare a Traágrin il carico che quei maledettissimi goblin
avevano rubato e, a scanso di suscitare le ire della propria
famiglia, lavarsi, cambiarsi e raggiungerli a cena.
Invece, no. Doveva
guardarsi le spalle da un maledetto goblin mimetizzato.
Se i nani,
difatti, grazie alla loro parentela con la roccia, sono
incredibilmente resistenti, i goblin, affratellati al fango, sanno
essere viscidi e furtivi... Non è punto semplice, individuare un
goblin ben nascosto.
«Senti, goblin,»
tentò la via del dialogo Difensore, parlando nella lingua Snòogl,
utilizzata in tutto il vasto impero Ròsk dal medesimo nome
«finiamola qui».
«Non mi puoi
ammazzare da solo» sperava di non sbagliarsi Páer. Maledetto collo!
E maledetti brividi lungo la schiena. In verità, forse, un colpo
fortunato...
«E mi sembri un
tipo a posto» proseguì il nano. «Ti lascio vivo.» ("e tu
farai altrettanto, vero?" pensò Difensore) «Io vado via
col mio tesoro... e tu con la tua pellaccia».
Niente. Forse era
già andato. O forse era d'accordo e aspettava solo che Páer se ne
andasse. Maledetta ferita, che fastidio! Il nano vi passò quasi
istintivamente una mano sopra.
Il goblin eruppe
alle sue spalle, emergendo da una pozza di fango che avrebbe dovuto
essere troppo piccola per celarlo. Ma i goblin sfruttano fino in
fondo le pur ridottissime risorse magiche di cui godono. Una mano
ancora lorda di acqua e melma afferrò i ricci biondo-scuro di
Difensore e l'altra calò il kriss verso il collo.
Non era
stato un colpo fortunato. Ferito una seconda volta, ma ancora vivo e
vegeto, Páer replicò con una possente gomitata. Allacciò con la
propria gamba quella del goblin e lo fece incespicare. Vi si lasciò
cadere sopra per non dargli alcuna possibilità di svicolare di
nuovo. Voleva schiacciarlo. Ma caddero su uno strato di pantano.
Il goblin cercò
di guadagnare lo spazio di affondare il kriss ancora una volta, ma il
nano non glielo concesse. Levò alta la destra, in cui ora stringeva
una frastagliata pepita d'oro nativo, di dimensioni e peso
ragguardevoli.
«Volevi l'oro?»
ringhiò Difensore «Eccolo!»
E gli spaccò la
tempia con il pesante sasso.
Bene. Finalmente,
poteva occuparsi delle proprie ferite. Roba da poco. Ma fastidiosa.
Anche se poteva andare ben peggio. Se quel maledetto messaggio magico
fosse arrivato prima, tradendolo mentre era impegnato a cercare di
sorprendere tutti e sei i goblin...
Fu allora che Páer
cominciò a invidiare anche un'altra caratteristica degli eroi delle
storie di Némo: non avevano parenti. Quasi tutti orfani. Di
altri, semplicemente, non si faceva parola alcuna dei familiari; né
genitori, né nonni, cugini, zii...
E Difensore li
capiva benissimo! Ma come si poteva andare a cuor leggero a
combattere un eventuale potentissimo signore del male, con mamma e
papà, dietro, a tirarti per l'armatura per implorarti (o ordinarti)
di restare al sicuro? O coi nonni, da un lato magari ancora più
preoccupati, e dall'altro magari bisognosi di assistenza da un
momento all'altro? O con ogni altro genere di cari inermi, pronti a
essere sfruttati come ostaggi dai nemici più spietati?
Per non parlare
poi di quando ti chiamavano a cena mentre stavi rischiando di farti
uccidere...
Traágrin,
anno
240524 dalla fondazione di Traágrin,
giorno di Sygèro, 14
Graákel
«È tornato il
Difensore!» tuonò Gáot, uno dei minatori che erano stati vittime
della razzia.
«Per il martello
della Forgiatrice, Páer!» esclamò Tjár, un altro dei minatori,
strabuzzando i neri occhi e affrettandosi ad accorrere «Ce l'hai
fatta!»
«Avevate dubbi?»
emerse, sudato (ma almeno non più sanguinante), Páer da dietro i
carretti minerari che aveva spinto di nuovo fino a Traágrin.
«Il giorno che io
non sarò più capace di occuparmi di un pugno di goblin,» si bullò
il nano trionfatore «sarà quello in cui voi non saprete più
occuparvi di tre carretti d'oro!»
Con grasse risate
e il cuore riscaldato dal ritorno del minerale rubato, Gáot, Tjár e
tutti i loro colleghi minatori si affrettarono a circondare il loro
"Difensore", a battergli pacche sui fianchi e sulle spalle
e a osannarlo.
Il furto in sé
non sarebbe bastato a compromettere l'economia della industriosa
comunità mineraria; ma ci sono poche cose che i nani amano più
delle gemme e dei metalli preziosi! Se gli odiati goblin fossero
riusciti a passarla liscia dopo un colpo del genere, lo smacco morale
subito da tutta la città sotterranea di Traágrin sarebbe stato
gravissimo. Ora, invece, era tutto di nuovo come doveva essere.
Grazie a Difensore
Páer.
"Quanto
sarebbe tutto dannatamente perfetto, se solo i tagli al collo
smettessero di darmi fastidio" pensò privatamente l'idolo
locale, mentre la notizia del suo ultimo successo si diffondeva dalla
zona delle miniere a quella urbana con la velocità di un incendio in
un pagliaio. La fasciatura, improvvisata dal nano con strisce del
proprio stesso abito, aveva arrestato del tutto la perdita di sangue
(tanto che egli l'aveva tolta giusto poco prima di arrivare), ma
avere la carne tagliata non era per nulla tanto confortevole
quanto averla integra!
«Páer! Páer!»
gridavano le due ali di nani che l'eroe del giorno trovò schierate
ai lati della strada ricavata tra le stalagmiti e gli strapiombi
della grande caverna.
«Difensore!
Difensore!» tuonavano invece altri.
Non ci sono molte
cose capaci di indurre un nano a interrompere il proprio lavoro. Che
così tanti nani si fossero sentiti spinti ad allontanarsi
momentaneamente dalle proprie quotidiane occupazioni per celebrare il
suo ritorno, riempì Páer di orgoglio. Forse, dopo tutto, affrontare
le avventure non era così male. Lo faceva sentire bene. O, per lo
meno, meglio. Il ricordo di un bambino attraversò la sua mente,
fuggevole come un fantasma.
Páer si incupì.
Per un poco, non sentì più le ovazioni che i concittadini festanti
continuavano a tributargli. Poi, gradatamente, il buon umore ritornò.
Era già di nuovo capace di sorridere, quando riconobbe suo padre,
Nóar, tra la folla, vicino all'ingresso delle mura. I biondi capelli
di Nóar erano più chiari di quelli del figlio, nonché ormai qua e
là lievemente striati d'argento, ma il nano si ergeva così fiero,
da parere imponente quanto i bastioni delle mura esterne, pareti così
alte da raggiungere il soffitto dell'ampia caverna e chiudere la
città completamente, come si trattasse di un immenso, unico
edificio.
«Eccolo!» il
nano indicò Páer a due amici, segnandolo a dito «Mio figlio!
Nessun altro ci sarebbe riuscito, ma nessun problema, per lui! Ha
sbaragliato tutti e venti i razziatori!»
A poco sarebbe
servito protestare che i goblin erano stati soltanto dodici. E che
non li aveva "sbaragliati", ma seguiti, braccati e
eliminati a poco a poco. Rischiando di lasciarci la pelle contro gli
ultimi sei. Suo padre, solitamente impassibile e temperato come ogni
nano che si rispetti, quando si trattava di lui, si lasciava
puntualmente trascinare all'eccesso. Indubbiamente, entro poche ore,
i razziatori sarebbero diventati trenta, forse anche quaranta. E
avrebbero avuto al loro seguito anche guardie scelte orchesche, o
rinnegati Ròsk, o esoteristi Superficiali.
Il padre avrebbe
persino cercato di convincere lui che le cose erano andate
così.
Dopo aver
scambiato pacche esuberanti e fragorosi convenevoli coi compaesani,
Difensore superò le porte dell'urbe nanica e, senza bisogno di
arrampicarsi per le occasionali scale a chiocciola che conducevano ai
livelli di minor prestigio, raggiunse la sontuosa dimora presso la
quale ancora viveva con la famiglia. Sua nonna Ljád, che non la
finiva mai più, con le preghiere che lui abbandonasse la sua vita da
"disgraziato", termine che la poveretta utilizzava per
designare gli avventurieri. Sua madre Nrák, che gli voleva
altrettanto bene... ma che aveva un poco di fiducia in più nelle sue
capacità e tollerava che egli le mettesse a frutto, anche se cercava
puntualmente di indurlo a ricavarne maggiori profitti. Suo padre
Nóar, che sembrava sinceramente convinto che nulla fosse impossibile
per lui.
Peccato, che,
ultimamente, tutti loro fossero anche convinti che lui dovesse...
Páer scacciò con
stizza il fastidioso pensiero e andò a prepararsi per la cena. Il
preciso orologio ad acqua che dominava la parete di fronte
all'ingresso principale dell'abitazione lo informava che non aveva
tempo da perdere.
Il viso di Nrák,
segnato da rughe per l'abitudine a espressioni di freddezza, stizza o
disapprovazione, si illuminò del consueto sorriso compiaciuto.
Era entrato Páer.
Il suo
Páer, come ricordava sempre a sé stessa, soddisfatta.
Che figlio
meraviglioso. Aveva tutto quello che si potesse desiderare in un
nano. Era forte. Era bello. Era ricco. Almeno di famiglia.
Non era stato a
caso che Nrák aveva scelto il proprio marito, quando era stato il
momento. Ella, grazie al proprio vantaggioso matrimonio con Nóar,
aveva fondato una famiglia decisamente abbiente. E, assieme al
marito, ne aveva amministrato il patrimonio con abilità e spiccato
senso degli affari, al punto da far meritare ancora di più alla
famiglia il nome di "Tóar Kút", ovvero "pietra
dura", letteralmente, ma, più comunemente, "gemma"...
e da guadagnare a sé stessa il soprannome di "Cuore d'Oro",
per lo speciale posto che oro e ricchezze avevano nel suo cuore.
Crescendo, Páer
sarebbe potuto diventare il nano più influente di tutta Traágrin;
il signore assoluto della comunità. Sarebbe bastato solo che la
finisse di essere Difensore. Che la smettesse con quella sua mania
dei favori. Era l'idolo di tutti, nella città sotterranea... ma che
cosa ricavava, da ciò? Soltanto di venire chiamato puntualmente a
rischiare la vita a ogni minima occasione.
Che bramasse
l'avventura, a quell'età, Nrák poteva anche capirlo. Cosa capiva,
un nano, ad appena centotré anni? Un nano non ha una vita effimera
quanto quella di creature più sventurate, come ad esempio i comuni
esseri umani, che maturano (e invecchiano) cinque volte più
rapidamente... Che Páer si divertisse pure, dunque. Ma la nana, al
suo posto, si sarebbe data assai più da fare, in fase di accordi
preliminari e di discussione di ricompensa. Pazienza; col
tempo, sarebbe maturato. Ne era certa.
Era suo figlio.
«Ben tornato» lo
salutò Cuore d'Oro, con quel controllato calore con cui lo
ricompensava quando era contenta di lui. Era tornato. Era ancora
intero. Si era lavato e cambiato. Era elegante. E puntuale. E se, per
giunta, magari, questa volta...
«Quanto te ne è
venuto in tasca?» provò a informarsi la nana, speranzosa.
Páer, nella
propria ampia ed elegante cioppa scagliosa in pelle di drago
sotterraneo, parve colto per un momento in fallo, mentre prendeva
posto davanti a un piatto di succulento stracotto (di drago
sotterraneo anche quello), ma seppe subito sfoggiare quel gioviale
sorriso davanti al quale nemmeno la madre riusciva a insistere a
rimproverarlo a lungo e rispose: «Trenta rote».
Nrák avrebbe
voluto sprofondare. Trenta rote. Per aver recuperato un carico
d'oro capace di valerne più di duemila. Si appuntò
mentalmente di far visita alla stirpe di Juékna ta Kóar (nome che
significava "Mani di Metallo"). Avrebbe ripatteggiato lei
una ricompensa adeguata per il servigio che il suo Páer aveva appena
reso loro.
Rasserenata dalla
prospettiva di quanto avrebbe potuto estorcere alla famiglia a cui
apparteneva il carico, Cuore d'Oro rispose al sorriso del figlio e
replicò, piegando appena il capo dai folti capelli corvini sul quale
aveva posto un elegante diadema con un rubino al centro: «Non vale
neanche la pena di arrabbiarsi, con una testa di granito come te.
Almeno ti sarai divertito. E poi hai portato a casa la pelle».
«Perché? Era
pericoloso?!» si allarmò subito Ljád, l'anziana nana dai capelli
ormai un poco radi e del tutto bianchi, ghermendo subitaneamente il
braccio del nipote, il quale si era appena seduto a tavola, accanto a
lei.
«No, nonna»
Difensore fissò i propri cheti occhi marroni in quelli omocromi, ma
già velati di lacrime e assai preoccupati, dell'anziana
interlocutrice. «Mamma diceva per dire. Lo sai che sto sempre
attento».
«Ma se stai
attento...» ragionò Ljád, già angosciata, avvicinandosi
pericolosamente alla soglia di un pianto a dirotto «... vuol dire
che c'è pericolo!»
"Sì, certo
che c'è pericolo, nonna!" avrebbe voluto gridare Páer "E
tutte le volte che parto non sono sicuro né di tornare, né di farlo
tutto d'un pezzo. Devo averla ereditata da te, questa paura dannata
che mi segue passo passo tutte le volte che rischio la pelle! Ma ci
sono volte in cui un nano deve fare quello che deve essere fatto".
Sfogatosi
mentalmente nel volgere di pochi istanti, Difensore fu in grado di
rispondere, a voce, in maniera assai più pacata: «No, nonna; nessun
pericolo, davvero. Chiedi a tuo figlio!» e si volse con un aperto
sorriso a Nóar, chiamandolo in causa «Papà, secondo te ho corso
qualche rischio?»
«Certo, come no?»
sghignazzò il biondo nano «Quello di annoiarti! Che ostacolo
potevano mai essere, venti goblin e qualche orco, per un vero nano
come te?»
«Dodici, papà»
cercò stancamente di correggere l'altro Páer. «Erano soltanto
goblin ed erano solo in dod...»
«Comunque,» si
intromise Nrák «possiamo stare tutti tranquilli».
Il sorriso scaltro
che traspariva dalla compostezza quasi perfetta della madre non
piacque per niente a Difensore.
«Ci penserà
Láevak,» continuò nel mentre la nana, confermando i peggiori
sospetti del figlio «ad aiutare il nostro ragazzo a tenere la testa
a posto!»
I volti di tutti i
presenti si rischiararono tanto quanto quello di Páer si incupì.
«Io non voglio
Láevak» tentò di protestare Difensore.
«Una così brava
figliola...» commentò Ljád, con quel tono di gnolosa delusione che
Páer odiava.
«Forse» concesse
Difensore. «Ma io...»
«Una così bella
figliola...» lo interruppe Nóar, strizzandogli l'occhio con
espressione di complice lascivia.
«Lo vedo da me»
replicò l'altro. «Però...»
«Lei ti ama,
Páer!» fece, accorata, Fróak, sua sorella minore, guardandolo con
quei suoi occhi blu come lapislazzuli, grandi ed espressivi.
«Non voglio lei!»
batté il pugno sul tavolo Páer «Io voglio...»
«Noi
abbiamo scelto lei» lo interruppe Nrák con tono fermo. «È ricca.
È bella. È assennata. È perfetta per te, figlio mio. Quindi tu
domani andrai a chiedere la sua mano a casa Óger to Ljukamáert».
Tutti gli sguardi
della famiglia erano fissi su di lui. Avevano deciso. Per chissà
quale maledettissimo motivo che sfuggiva alla comprensione del nano,
la sua famiglia era tutta conquistata da lei. Quante volte ne
avevano discusso? Eppure, niente. Con l'andare del tempo, non avevano
fatto altro che rinsaldarsi nella loro convinzione.
Per una frazione
di un momento, Difensore fu tentato di comportarsi come un
Superficiale. Di ribellarsi alla famiglia. Alle regole. Alle
tradizioni.
Ma fu appena un
attimo.
Páer non
era un Superficiale. Non era umano, o un elfo, o un esponente di una
qualunque di quelle altre razze assurde e incostanti che rifuggivano
il solido ordine del sottosuolo per condurre esistenze vane tanto
quanto gli aperti spazi che vi facevano da sfondo. Egli era un nano e
da nano, riconoscendo che la famiglia aveva preso una decisione
collegiale e definitiva, cessò ogni protesta.
Chinò il capo e
disse solo: «Obbedisco».
Poi, cercando
consolazione nel cibo, si sputò sulle mani e se le sfregò l'una con
l'altra, nel gesto rituale che ogni nano ben educato compiva prima di
cominciare un pasto. E pensare che esistevano razze così mal
informate da avanzare dubbi sull'igiene dei nani...
Mentre tutti
facevano a gara per congratularsi con Difensore e per ripetergli
quanto fosse fortunato, nella mente del nano si fissarono solo le
parole della madre, la quale, ammorbidendo lievemente il tono, gli
disse: «Credimi, figlio mio, quella è la nana per te. Domani
compirai un passo che non avrai mai motivo di rimpiangere».
Ma la lucida nana
calcolatrice non sapeva quanto si stava sbagliando, al riguardo.
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