mercoledì 30 agosto 2017

Ciò che deve essere fatto - Capitolo 1

Sottosuolo nei pressi di Traágrin,
anno 240524 dalla fondazione di Traágrin,
giorno di Liíro, 13 Graákel


Un dito più a sinistra e avrebbe perso l'occhio. Così, invece, il khanjar, il ricurvo e minaccioso coltellaccio del goblin, lo mancò e scivolò a lato, con uno stridio fastidiosissimo, sulla superficie di metallo del carrello retrostante.
"Giuro per la Forgiatrice, questa è l'ultima volta" lottò per non lasciarsi sopraffare dal panico Páer. Per un istante, fu certo che il kriss, pugnale dalla caratteristica lama serpeggiante, con cui l'altro goblin stava per infilzarlo avrebbe colpito al di sotto dello strato di cuoio borchiato dell'armatura e gli avrebbe aperto le carni.
Invece, la botta disperata che il feroce nano aveva fatto partire, il lesto affondo del manico di pieno acciaio della tabar, fu più rapido. Colse il goblin sull'elmo cornuto. Il gracile umanoide emise un acuto verso di dolore, mentre l'elmo ammaccato gli scivolava dalla testa. Barcollò indietro di un passo e crollò stordito.
Quello col khanjar morse a Páer una mano priva di protezione, per ostacolarlo, poi colpì con la lama al collo. Gli attraversò la folta barba riccia, tingendone il biondo scuro di sangue.
I goblin, simili, nell'aspetto a gnomi fangosi, pustolosi e abbruttiti, sono assai meno massicci dei nani, oltre che un poco più bassi, ma ciò che a loro manca in stazza, viene abbondantemente compensato da pura e feroce cattiveria. Una volta che Páer, detto Difensore, aveva aggredito gli ultimi sei goblin, quelli che stavano trainando sulle rotaie del binario morto l'ultimo carretto di minerale aurifero, tre erano caduti, uno dopo l'altro, sotto i colpi della pesante tabar. Ma gli altri tre non si erano lasciati intimidire. Si erano fatti sotto, per portarsi a una distanza alla quale la pesante ascia sarebbe stata pressoché inutile... a differenza delle loro corte armi. Uno non ce l'aveva fatta. Due sì.
Ora, uno di questi era riuscito a colpire.
Ci riprovò, ma Difensore, stringendo i denti per soffocare il dolore, strattonò la mano imprigionata. La liberò. I denti aguzzi del goblin avevano morso a sangue.
Il gomito del nano scattò e spaccò il labbro del pugnace nemico. Gli occhi marroni del nano si socchiusero con odio, scacciando per un momento dolore e paura. Incrociarono per una sola frazione di secondo quelli stretti e omocromi del goblin. Il biondo capo ricciuto del nano era già scattato. Fracassò il naso della feroce creaturina, facendola abbattere a terra.
Finirli. Doveva farlo subito, prima che potessero riprovare ad ammazzarlo. La ferita al collo gli bruciava. Páer a tratti invidiava e a tratti odiava quegli eroi delle storie di Némo Profeta, che affrontavano battaglie su battaglie senza battere ciglio. Difensore, invece, nel corso di ogni scontro, aveva sempre paura. Veniva il momento in cui la concentrazione della lotta o la furia della pugna aiutavano a relegare la paura in un angolo. Ma che brividi, quando una punta passava vicino all'occhio, quando una lama rischiava di recidere un'arteria, quando una botta minacciava di fracassare un osso...
«Páer, ricordati di non fare tardi!» echeggiò improvvisamente, all'orecchio del teso nano, la voce di sua madre.
Il nano perse qualche preziosa frazione di attimo a trasalire, brandendo la propria fida tabar di nuovo a due mani, e a volgersi sbalordito.
«Perché lo sai che domani sera, a cena, festeggiamo il nuovo filone scoperto da tuo padre» proseguiva, spietata e imperterrita, la voce della nana, sempre all'orecchio di Difensore. «E devi avere anche il tempo di lavarti e cambiarti!Non vorrai offendere la tua famiglia piombando trafelato, all'ultimo momento e vestito da straccione?!»
Magia! Quella nana ossessionante di sua madre era ricorsa a un sortilegio di telecomunicazione per ricordargli di prepararsi per la cena! E proprio in quel momento, in cui il collo gli faceva male per un taglio appena rimediato e ci aveva quasi lasciato la pelle! Si trattenne dall'imprecare soltanto perché temeva che l'incantesimo potesse veicolare l'inopportuna risposta. E Nrák, la madre di Páer, davvero, davvero, davvero non era una nana che convenisse offendere.
«Quindi, datti una mossa» proseguì lo stregato messaggio. Ma il nano cessò di prestarvi attenzione: i due goblin si stavano riprendendo. Ciò significava che stavano per riprovare a ucciderlo.
Difensore emise un verso belluino, forse impressionante, ma per il resto inutile, mentre calava la tabar in un forte fendente contro il nemico più vicino, quello a cui aveva rotto il naso. Il goblin riuscì a scansarsi di misura. La pesante lama d'acciaio emise un fracasso assordante, nonché alcune scintille, cozzando sulla pietra. Il goblin colse l'occasione per scagliare il proprio khanjar, da una distanza dalla quale sarebbe stato difficile sbagliare anche per uno gnomo sbronzo.
«E vedi di non farti accoppare!» si concluse nel mentre il magico messaggio di Nrák.
Il khanjar sibilò accanto all'orecchio di Páer. O il goblin aveva una mira peggiore di quella di uno gnomo sbronzo, o il fatto di dover tirare in tutta fretta, col naso rotto e mentre un nano furibondo gli urlava addosso, ben intenzionato a farlo a pezzi, doveva avergli impedito di rendere al meglio.
Difensore gli si avventò contro con una falcata e lo calciò a una gamba. Páer aveva sempre avuto un piede di dimensioni ragguardevoli, per essere un nano; un piede che, calzato in un duro stivale nanico dalla punta accentuata, strappò nuove alte grida di dolore alla vittima.
«Così starai più fermo» bofonchiò Difensore, calando una seconda volta la tabar. Questa volta col riscontro di un disgustoso rumore di carne macellata e di un ultimo grido di dolore.
Inutile dire che l'altro goblin aveva avuto ogni agio di finire di riprendersi, di recuperare il proprio pericoloso kriss dalla lama serpentina e di sfruttare le proprie magiche facoltà per mimetizzarsi.
"Ci mancava anche questa" pensò Páer, volgendo gli occhi ora qua, ora là, sul chi vive. La ferita, che sarebbe probabilmente risultata letale sulla morbida pelle o sul debole corpo di un Superficiale come un umano o uno gnomo, non era affatto grave, per Difensore. Le carni naniche, di proverbiale resistenza, avevano riportato un taglio non troppo profondo. Ma un taglio è sempre un taglio e a Páer dava fastidio. Avrebbe preferito potersi rilassare, potersi bendare, potersi felicitare di esserne uscito vivo ancora una volta, magari riportare a Traágrin il carico che quei maledettissimi goblin avevano rubato e, a scanso di suscitare le ire della propria famiglia, lavarsi, cambiarsi e raggiungerli a cena.
Invece, no. Doveva guardarsi le spalle da un maledetto goblin mimetizzato.
Se i nani, difatti, grazie alla loro parentela con la roccia, sono incredibilmente resistenti, i goblin, affratellati al fango, sanno essere viscidi e furtivi... Non è punto semplice, individuare un goblin ben nascosto.
«Senti, goblin,» tentò la via del dialogo Difensore, parlando nella lingua Snòogl, utilizzata in tutto il vasto impero Ròsk dal medesimo nome «finiamola qui».
«Non mi puoi ammazzare da solo» sperava di non sbagliarsi Páer. Maledetto collo! E maledetti brividi lungo la schiena. In verità, forse, un colpo fortunato...
«E mi sembri un tipo a posto» proseguì il nano. «Ti lascio vivo.» ("e tu farai altrettanto, vero?" pensò Difensore) «Io vado via col mio tesoro... e tu con la tua pellaccia».
Niente. Forse era già andato. O forse era d'accordo e aspettava solo che Páer se ne andasse. Maledetta ferita, che fastidio! Il nano vi passò quasi istintivamente una mano sopra.
Il goblin eruppe alle sue spalle, emergendo da una pozza di fango che avrebbe dovuto essere troppo piccola per celarlo. Ma i goblin sfruttano fino in fondo le pur ridottissime risorse magiche di cui godono. Una mano ancora lorda di acqua e melma afferrò i ricci biondo-scuro di Difensore e l'altra calò il kriss verso il collo.
Non era stato un colpo fortunato. Ferito una seconda volta, ma ancora vivo e vegeto, Páer replicò con una possente gomitata. Allacciò con la propria gamba quella del goblin e lo fece incespicare. Vi si lasciò cadere sopra per non dargli alcuna possibilità di svicolare di nuovo. Voleva schiacciarlo. Ma caddero su uno strato di pantano.
Il goblin cercò di guadagnare lo spazio di affondare il kriss ancora una volta, ma il nano non glielo concesse. Levò alta la destra, in cui ora stringeva una frastagliata pepita d'oro nativo, di dimensioni e peso ragguardevoli.
«Volevi l'oro?» ringhiò Difensore «Eccolo!»
E gli spaccò la tempia con il pesante sasso.
Bene. Finalmente, poteva occuparsi delle proprie ferite. Roba da poco. Ma fastidiosa. Anche se poteva andare ben peggio. Se quel maledetto messaggio magico fosse arrivato prima, tradendolo mentre era impegnato a cercare di sorprendere tutti e sei i goblin...
Fu allora che Páer cominciò a invidiare anche un'altra caratteristica degli eroi delle storie di Némo: non avevano parenti. Quasi tutti orfani. Di altri, semplicemente, non si faceva parola alcuna dei familiari; né genitori, né nonni, cugini, zii...
E Difensore li capiva benissimo! Ma come si poteva andare a cuor leggero a combattere un eventuale potentissimo signore del male, con mamma e papà, dietro, a tirarti per l'armatura per implorarti (o ordinarti) di restare al sicuro? O coi nonni, da un lato magari ancora più preoccupati, e dall'altro magari bisognosi di assistenza da un momento all'altro? O con ogni altro genere di cari inermi, pronti a essere sfruttati come ostaggi dai nemici più spietati?
Per non parlare poi di quando ti chiamavano a cena mentre stavi rischiando di farti uccidere...

Traágrin,
anno 240524 dalla fondazione di Traágrin,
giorno di Sygèro, 14 Graákel


«È tornato il Difensore!» tuonò Gáot, uno dei minatori che erano stati vittime della razzia.
«Per il martello della Forgiatrice, Páer!» esclamò Tjár, un altro dei minatori, strabuzzando i neri occhi e affrettandosi ad accorrere «Ce l'hai fatta!»
«Avevate dubbi?» emerse, sudato (ma almeno non più sanguinante), Páer da dietro i carretti minerari che aveva spinto di nuovo fino a Traágrin.
«Il giorno che io non sarò più capace di occuparmi di un pugno di goblin,» si bullò il nano trionfatore «sarà quello in cui voi non saprete più occuparvi di tre carretti d'oro!»
Con grasse risate e il cuore riscaldato dal ritorno del minerale rubato, Gáot, Tjár e tutti i loro colleghi minatori si affrettarono a circondare il loro "Difensore", a battergli pacche sui fianchi e sulle spalle e a osannarlo.
Il furto in sé non sarebbe bastato a compromettere l'economia della industriosa comunità mineraria; ma ci sono poche cose che i nani amano più delle gemme e dei metalli preziosi! Se gli odiati goblin fossero riusciti a passarla liscia dopo un colpo del genere, lo smacco morale subito da tutta la città sotterranea di Traágrin sarebbe stato gravissimo. Ora, invece, era tutto di nuovo come doveva essere.
Grazie a Difensore Páer.
"Quanto sarebbe tutto dannatamente perfetto, se solo i tagli al collo smettessero di darmi fastidio" pensò privatamente l'idolo locale, mentre la notizia del suo ultimo successo si diffondeva dalla zona delle miniere a quella urbana con la velocità di un incendio in un pagliaio. La fasciatura, improvvisata dal nano con strisce del proprio stesso abito, aveva arrestato del tutto la perdita di sangue (tanto che egli l'aveva tolta giusto poco prima di arrivare), ma avere la carne tagliata non era per nulla tanto confortevole quanto averla integra!
«Páer! Páer!» gridavano le due ali di nani che l'eroe del giorno trovò schierate ai lati della strada ricavata tra le stalagmiti e gli strapiombi della grande caverna.
«Difensore! Difensore!» tuonavano invece altri.
Non ci sono molte cose capaci di indurre un nano a interrompere il proprio lavoro. Che così tanti nani si fossero sentiti spinti ad allontanarsi momentaneamente dalle proprie quotidiane occupazioni per celebrare il suo ritorno, riempì Páer di orgoglio. Forse, dopo tutto, affrontare le avventure non era così male. Lo faceva sentire bene. O, per lo meno, meglio. Il ricordo di un bambino attraversò la sua mente, fuggevole come un fantasma.
Páer si incupì. Per un poco, non sentì più le ovazioni che i concittadini festanti continuavano a tributargli. Poi, gradatamente, il buon umore ritornò. Era già di nuovo capace di sorridere, quando riconobbe suo padre, Nóar, tra la folla, vicino all'ingresso delle mura. I biondi capelli di Nóar erano più chiari di quelli del figlio, nonché ormai qua e là lievemente striati d'argento, ma il nano si ergeva così fiero, da parere imponente quanto i bastioni delle mura esterne, pareti così alte da raggiungere il soffitto dell'ampia caverna e chiudere la città completamente, come si trattasse di un immenso, unico edificio.
«Eccolo!» il nano indicò Páer a due amici, segnandolo a dito «Mio figlio! Nessun altro ci sarebbe riuscito, ma nessun problema, per lui! Ha sbaragliato tutti e venti i razziatori!»
A poco sarebbe servito protestare che i goblin erano stati soltanto dodici. E che non li aveva "sbaragliati", ma seguiti, braccati e eliminati a poco a poco. Rischiando di lasciarci la pelle contro gli ultimi sei. Suo padre, solitamente impassibile e temperato come ogni nano che si rispetti, quando si trattava di lui, si lasciava puntualmente trascinare all'eccesso. Indubbiamente, entro poche ore, i razziatori sarebbero diventati trenta, forse anche quaranta. E avrebbero avuto al loro seguito anche guardie scelte orchesche, o rinnegati Ròsk, o esoteristi Superficiali.
Il padre avrebbe persino cercato di convincere lui che le cose erano andate così.
Dopo aver scambiato pacche esuberanti e fragorosi convenevoli coi compaesani, Difensore superò le porte dell'urbe nanica e, senza bisogno di arrampicarsi per le occasionali scale a chiocciola che conducevano ai livelli di minor prestigio, raggiunse la sontuosa dimora presso la quale ancora viveva con la famiglia. Sua nonna Ljád, che non la finiva mai più, con le preghiere che lui abbandonasse la sua vita da "disgraziato", termine che la poveretta utilizzava per designare gli avventurieri. Sua madre Nrák, che gli voleva altrettanto bene... ma che aveva un poco di fiducia in più nelle sue capacità e tollerava che egli le mettesse a frutto, anche se cercava puntualmente di indurlo a ricavarne maggiori profitti. Suo padre Nóar, che sembrava sinceramente convinto che nulla fosse impossibile per lui.
Peccato, che, ultimamente, tutti loro fossero anche convinti che lui dovesse...
Páer scacciò con stizza il fastidioso pensiero e andò a prepararsi per la cena. Il preciso orologio ad acqua che dominava la parete di fronte all'ingresso principale dell'abitazione lo informava che non aveva tempo da perdere.

Il viso di Nrák, segnato da rughe per l'abitudine a espressioni di freddezza, stizza o disapprovazione, si illuminò del consueto sorriso compiaciuto.
Era entrato Páer.
Il suo Páer, come ricordava sempre a sé stessa, soddisfatta.
Che figlio meraviglioso. Aveva tutto quello che si potesse desiderare in un nano. Era forte. Era bello. Era ricco. Almeno di famiglia.
Non era stato a caso che Nrák aveva scelto il proprio marito, quando era stato il momento. Ella, grazie al proprio vantaggioso matrimonio con Nóar, aveva fondato una famiglia decisamente abbiente. E, assieme al marito, ne aveva amministrato il patrimonio con abilità e spiccato senso degli affari, al punto da far meritare ancora di più alla famiglia il nome di "Tóar Kút", ovvero "pietra dura", letteralmente, ma, più comunemente, "gemma"... e da guadagnare a sé stessa il soprannome di "Cuore d'Oro", per lo speciale posto che oro e ricchezze avevano nel suo cuore.
Crescendo, Páer sarebbe potuto diventare il nano più influente di tutta Traágrin; il signore assoluto della comunità. Sarebbe bastato solo che la finisse di essere Difensore. Che la smettesse con quella sua mania dei favori. Era l'idolo di tutti, nella città sotterranea... ma che cosa ricavava, da ciò? Soltanto di venire chiamato puntualmente a rischiare la vita a ogni minima occasione.
Che bramasse l'avventura, a quell'età, Nrák poteva anche capirlo. Cosa capiva, un nano, ad appena centotré anni? Un nano non ha una vita effimera quanto quella di creature più sventurate, come ad esempio i comuni esseri umani, che maturano (e invecchiano) cinque volte più rapidamente... Che Páer si divertisse pure, dunque. Ma la nana, al suo posto, si sarebbe data assai più da fare, in fase di accordi preliminari e di discussione di ricompensa. Pazienza; col tempo, sarebbe maturato. Ne era certa.
Era suo figlio.
«Ben tornato» lo salutò Cuore d'Oro, con quel controllato calore con cui lo ricompensava quando era contenta di lui. Era tornato. Era ancora intero. Si era lavato e cambiato. Era elegante. E puntuale. E se, per giunta, magari, questa volta...
«Quanto te ne è venuto in tasca?» provò a informarsi la nana, speranzosa.
Páer, nella propria ampia ed elegante cioppa scagliosa in pelle di drago sotterraneo, parve colto per un momento in fallo, mentre prendeva posto davanti a un piatto di succulento stracotto (di drago sotterraneo anche quello), ma seppe subito sfoggiare quel gioviale sorriso davanti al quale nemmeno la madre riusciva a insistere a rimproverarlo a lungo e rispose: «Trenta rote».
Nrák avrebbe voluto sprofondare. Trenta rote. Per aver recuperato un carico d'oro capace di valerne più di duemila. Si appuntò mentalmente di far visita alla stirpe di Juékna ta Kóar (nome che significava "Mani di Metallo"). Avrebbe ripatteggiato lei una ricompensa adeguata per il servigio che il suo Páer aveva appena reso loro.
Rasserenata dalla prospettiva di quanto avrebbe potuto estorcere alla famiglia a cui apparteneva il carico, Cuore d'Oro rispose al sorriso del figlio e replicò, piegando appena il capo dai folti capelli corvini sul quale aveva posto un elegante diadema con un rubino al centro: «Non vale neanche la pena di arrabbiarsi, con una testa di granito come te. Almeno ti sarai divertito. E poi hai portato a casa la pelle».
«Perché? Era pericoloso?!» si allarmò subito Ljád, l'anziana nana dai capelli ormai un poco radi e del tutto bianchi, ghermendo subitaneamente il braccio del nipote, il quale si era appena seduto a tavola, accanto a lei.
«No, nonna» Difensore fissò i propri cheti occhi marroni in quelli omocromi, ma già velati di lacrime e assai preoccupati, dell'anziana interlocutrice. «Mamma diceva per dire. Lo sai che sto sempre attento».
«Ma se stai attento...» ragionò Ljád, già angosciata, avvicinandosi pericolosamente alla soglia di un pianto a dirotto «... vuol dire che c'è pericolo!»
"Sì, certo che c'è pericolo, nonna!" avrebbe voluto gridare Páer "E tutte le volte che parto non sono sicuro né di tornare, né di farlo tutto d'un pezzo. Devo averla ereditata da te, questa paura dannata che mi segue passo passo tutte le volte che rischio la pelle! Ma ci sono volte in cui un nano deve fare quello che deve essere fatto".
Sfogatosi mentalmente nel volgere di pochi istanti, Difensore fu in grado di rispondere, a voce, in maniera assai più pacata: «No, nonna; nessun pericolo, davvero. Chiedi a tuo figlio!» e si volse con un aperto sorriso a Nóar, chiamandolo in causa «Papà, secondo te ho corso qualche rischio?»
«Certo, come no?» sghignazzò il biondo nano «Quello di annoiarti! Che ostacolo potevano mai essere, venti goblin e qualche orco, per un vero nano come te?»
«Dodici, papà» cercò stancamente di correggere l'altro Páer. «Erano soltanto goblin ed erano solo in dod...»
«Comunque,» si intromise Nrák «possiamo stare tutti tranquilli».
Il sorriso scaltro che traspariva dalla compostezza quasi perfetta della madre non piacque per niente a Difensore.
«Ci penserà Láevak,» continuò nel mentre la nana, confermando i peggiori sospetti del figlio «ad aiutare il nostro ragazzo a tenere la testa a posto!»
I volti di tutti i presenti si rischiararono tanto quanto quello di Páer si incupì.
«Io non voglio Láevak» tentò di protestare Difensore.
«Una così brava figliola...» commentò Ljád, con quel tono di gnolosa delusione che Páer odiava.
«Forse» concesse Difensore. «Ma io...»
«Una così bella figliola...» lo interruppe Nóar, strizzandogli l'occhio con espressione di complice lascivia.
«Lo vedo da me» replicò l'altro. «Però...»
«Lei ti ama, Páer!» fece, accorata, Fróak, sua sorella minore, guardandolo con quei suoi occhi blu come lapislazzuli, grandi ed espressivi.
«Non voglio lei!» batté il pugno sul tavolo Páer «Io voglio...»
«Noi abbiamo scelto lei» lo interruppe Nrák con tono fermo. «È ricca. È bella. È assennata. È perfetta per te, figlio mio. Quindi tu domani andrai a chiedere la sua mano a casa Óger to Ljukamáert».
Tutti gli sguardi della famiglia erano fissi su di lui. Avevano deciso. Per chissà quale maledettissimo motivo che sfuggiva alla comprensione del nano, la sua famiglia era tutta conquistata da lei. Quante volte ne avevano discusso? Eppure, niente. Con l'andare del tempo, non avevano fatto altro che rinsaldarsi nella loro convinzione.
Per una frazione di un momento, Difensore fu tentato di comportarsi come un Superficiale. Di ribellarsi alla famiglia. Alle regole. Alle tradizioni.
Ma fu appena un attimo.
Páer non era un Superficiale. Non era umano, o un elfo, o un esponente di una qualunque di quelle altre razze assurde e incostanti che rifuggivano il solido ordine del sottosuolo per condurre esistenze vane tanto quanto gli aperti spazi che vi facevano da sfondo. Egli era un nano e da nano, riconoscendo che la famiglia aveva preso una decisione collegiale e definitiva, cessò ogni protesta.
Chinò il capo e disse solo: «Obbedisco».
Poi, cercando consolazione nel cibo, si sputò sulle mani e se le sfregò l'una con l'altra, nel gesto rituale che ogni nano ben educato compiva prima di cominciare un pasto. E pensare che esistevano razze così mal informate da avanzare dubbi sull'igiene dei nani...
Mentre tutti facevano a gara per congratularsi con Difensore e per ripetergli quanto fosse fortunato, nella mente del nano si fissarono solo le parole della madre, la quale, ammorbidendo lievemente il tono, gli disse: «Credimi, figlio mio, quella è la nana per te. Domani compirai un passo che non avrai mai motivo di rimpiangere».
Ma la lucida nana calcolatrice non sapeva quanto si stava sbagliando, al riguardo.

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